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Archivio storico di un giornale non più attivo

NOTIZIE DAL MONDO : Cap. 17

 

 

Fronte del Kurdistan siriano:

28/01/2017 Washington, Casa Bianca, Studio Ovale, il presidente Donald Trump parla al telefono con il presidente Putin

A volte cercare di dare una logica alle cose può essere un vizio o, peggio, un errore. Soprattutto quando si cerca di dare un senso logico alle azioni di una persona che non si comporta secondo la logica. Cercare di “dare un senso a questo Donald Trump” potrebbe quindi essere un’operazione peregrina e sbagliata. Fatta questa doverosa premessa, e con grande beneficio di inventario, noi ci proviamo.

C’è stato un tweet di Trump dove The Donald ha minacciato di “devastare economicamente la Turchia se quest’ultima attaccherà i curdi”. Questo ha fatto passare in secondo piano un altro messaggio contenuto in quel tweet, dove si diceva che una zona cuscinetto tra Kurdistan siriano e Turchia potrebbe essere fattibile.

Questa proposta potrebbe forse evitare che il macello siriano si prolunghi in una nuova guerra turco-curda.

In realtà la proposta di una zona cuscinetto tra la Turchia ed il Kurdistan siriano non è una proposta di Trump. E’ una vecchia proposta dei Turchi.
Circa un anno fa, quando gli USA hanno sbandierato ai quattro venti la formazione, nientemeno, che di una divisione di miliziani curdi da mettere a presidio dei confini con la Turchia, ai Turchi si sono rizzati i capelli in testa, l’inasprimento del confronto tra Turchia e USA è incominciato sull’onda di quella dichiarazione.
I Turchi avevano respinto con forza questa idea ed avevano invece proposto, appunto, una zona cuscinetto di 25-30 chilometri oltre il confine turco.
A questa proposta gli USA fecero all’epoca orecchie da mercante e, anzi, dissero ai Turchi: “Ok, comprendiamo la vostra paura che dal Kurdistan si possano infiltrare uomini e armi a sostegno della lotta separatista della minoranza curda in Turchia, allora – per garantirvi – mettiamo noi delle postazioni militari USA sui confini”. I Turchi a quel punto sono andati su tutte le furie. In quel modo, dal loro punto di vista, non solo gli Americani rifiutavano la loro proposta di una “buffer zone”, ma – al contrario – mettendo le proprie postazioni militari sul confine Turchia-Kurdistan (postazioni che sono state effettivamente erette in questi mesi) avrebbero di fatto svolto un ruolo di scudo militare a favore di curdi nel caso in cui ad Erdogan e compagni fosse venuto in mente di invadere la Siria nord-orientale.

Sappiamo che dopo il tweet di Trump sopra citato c’è stata una telefonata tra il Presidente turco Erdogan e Trump. Con un poco di intuito si può forse immaginare che Erdogan abbia ingoiato la minaccia di “devastazione economica” del Presidente USA e invece, più prosaicamente, si sia attaccato al telefono per discutere immediatamente (cioè prima che Trump cambi idea… Erdogan sta iniziando a capire come funziona – o non funziona – la testa di Trump) della zona cuscinetto finalmente accettata, per ora con un tweet, dagli USA.

La Turchia ha già eretto un muro al di qua del confine siriano, con telecamere, sensori, torri di guardia etc.. e sarebbe quindi lecito dubitare dell’utilità pratica di un’ulteriore zona cuscinetto strappata al territorio curdo, ma, in ogni caso, ottenere una zona cuscinetto darebbe la sensazione all’opinione pubblica, turca e non solo, che la grande macchina militare messa in moto da Erdogan per minacciare il Kurdistan siriano (si parla di 80.000 uomini) abbia prodotto un risultato. La contropartita sarebbe ovviamente la garanzia turca di rimanere all’interno dei propri confini.

Intendiamoci, cosa sia in concreto una “zona cuscinetto” tra Turchia e Kurdistan siriano è cosa tutta da definire. Ad esempio: visto che città come Kobane, che stanno subito al di là del confine turco, non si possono spostare indietro di 32 chilometri, ci si domanda chi, con quali mezzi e con quali regole di ingaggio, pattuglierà la zona di interdizione.
In particolare: i Turchi vorrebbero gestire interamente loro la zona cuscinetto, ma una zona di interdizione normalmente viene controllata da forze militari miste o da forze internazionali; se gli USA non cederanno subito anche su questo si può quindi supporre che le trattative sull’organizzazione della zona cuscinetto possano prendere più o meno tempo, a seconda della pazienza delle parti. Comunque, se non altro, l’idea della zona cuscinetto calcerebbe il barattolo un poco più in là ed eviterebbe disastri immediati.

Una postilla: gli Americani per ora non hanno ritirato alcun soldato dal Kurdistan siriano, ma soltanto del “materiale non necessario”. Parallelamente la coalizione anti Isis a guida USA sta continuando normalmente ad attaccare con artiglieria ed aviazione gli ultimi jihadisti asserragliati nel sud della regione.

Fronte dell’ISIS

Dopo 5 mesi di battaglia si può finalmente dire che l’Isis sta collassando. Lo pseudo Stato islamico ha perso il 90% circa della sua enclave sulla sponda orientale dell’Eufrate, nel sud est del Paese. Caduta Hajin, caduta al Shafah, le Syrian Democratic Forces a maggioranza curda – sostenute dalla coalizione internazionale a guida USA – stanno per sferrare l’attacco all’ultima roccaforte ancora in mano ai tagliagole di Abu Bakr al-Baghdadi: al-Susah, una cittadina collocata nella media valle dell’Eufrate (vedi cartina). E’ questione di settimane, poi l’Isis non controllerà più alcun territorio in Siria, ad esclusione di una parte del deserto centro orientale di Badia, nel settore del Paese controllato dalle truppe del regime siriano.
Questo non significa la fine completa dell’Isis in Siria, già da tempo l’organizzazione si sta trasformando da esercito campale a esercito di guerriglia. E’ facile supporre che nel tempo a venire in Siria accadrà ciò che sta accadendo in Iraq: attentati a ripetizione, operazioni mordi e fuggi etc… in realtà l’Isis in Siria ha già iniziato ad operare così in varie parti del Paese.

 

 

Fronte di Idlib

Nella “zona smilitarizzata” più militarizzata del mondo si è svolta una battaglia durata nove giorni tra i jihadisti di Hayat Tahrir al Sham (ex al Qaeda) e l’ombrello delle milizie filo-turche raccolte nella sigla “Esercito di Liberazione Nazionale”. Le milizie filo-turche le hanno prese di santa ragione ed hanno dovuto ritirarsi. Ora i jihadisti di Hayat Tahrir al Sham controllano circa l’80% del distretto di Idlib.

Ad Idlib le misure previste dall’accordo di Sochi tra Russia e Turchia, le quali, all’ultimo momento, avevano evitato al mondo di assistere a una strage di non immaginabili proporzioni – e che avrebbero dovuto entrare in vigore il 15 ottobre 2018 – non hanno mai visto neppure la luce. I miliziani sunniti non si sono mai ritirati dalla presunta “zona cuscinetto”, il cessate il fuoco non è mai entrato in vigore, le armi pesanti non sono mai state davvero ritirate da nessuno, le autostrade continuano a rimanere nelle mani dei ribelli jihadisti e le pattuglie congiunte russo-turche restano nel libro dei sogni.

A tutto questo ora si aggiunge un fatto importante: il presupposto di quell’accordo, e cioè che la Turchia avrebbe garantito il controllo del distretto di Idlib, è saltato. Ad Idlib la Turchia non controlla un bel nulla, il distretto è in mano alla più estrema delle formazioni jihadiste rimaste nel Paese ed ora l’artiglieria e l’aviazione siriana sono rientrate in azione pesantemente. Idlib ritorna ad essere il possibile teatro di una strage di enormi proporzioni: il Vietnam siriano continua.

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